La crisi economica attuale è una crisi
sistemica e globale segnata dalla socializzazione dei debiti privati. Il
passaggio dal welfare state al welfare aziendale si manifesta nel
salvataggio delle aziende e delle banche con interventi diretti dello
stato che gravano solo ed esclusivamente sulle popolazioni e causano
cancellazione dei diritti e privatizzazione dei beni comuni,
precarizzazione della vita e compressione del potere d’acquisto di fasce
sempre più ampie di popolazione. Emarginazione, ricattabilità e
precarietà sono la condizione imposta da un sistema giunto ormai al
collasso e incapace di ristrutturarsi nonostante gli ingenti aiuti di
stato. Crisi economica, dei sistemi di produzione e la conseguente crisi
del lavoro salariato, sono il quadro all’interno del quale bisogna
necessariamente riaprire spazi politici di riappropriazione del reddito,
diretto e indiretto, e dei diritti. Questo in un momento storico in cui
alle richieste di diritti, di tutela della salute e difesa dei
territori dall’aggressione selvaggia del cemento delle grandi opere, i
governi rispondono con repressione e criminalizzazione di intere
popolazioni.
Per tutto ciò riteniamo che, a fronte
dell’espropriazione dei diritti, è necessario costruire percorsi di
riappropriazione dal basso dei bisogni negati. Tra questi il bisogno
casa si inserisce in un percorso più ampio che mira alla
riappropriazione del reddito al di fuori e al di là dei rapporti di
lavoro. Questo, essendo un elemento cardine della contraddizione
capitale-lavoro, è il punto di vista da cui partire per riaprire
percorsi di riappropriazione di tempi, spazi e bisogni.
Riappropriarsi del proprio tempo fuori
dalla logica di dover ricorrere a 2-3 lavori (precari e/o a nero) per
poter arrivare a fine mese.
Riappropriarsi degli spazi e dei luoghi
delle città scippandoli al degrado in cui le amministrazioni li relegano
a favore di una cementificazione selvaggia, inutile per la collettività
ma altamente redditizia per i palazzinari e ottima “lavatrice” per il
denaro sporco.
Riappropriarsi dei bisogni partendo
proprio dalla casa quale diritto primario -negato da politiche astratte
che non rispondono ai bisogni delle fasce più deboli-, e forma concreta
di reddito indiretto.
Quest’ultimo concetto è ben visibile in
una città come Cosenza dove i palazzi sorgono come funghi per poi
rimanere vuoti, cifre alle mani, soddisfacendo solo gli appetiti dei
signori del cemento e ripulendo il denaro di provenienza illecita.
Stranamente si continua a costruire al di sopra della richiesta e della
popolazione residente, infatti sono stati censiti oltre 500 palazzi
vuoti che potrebbero soddisfare il fabbisogno di oltre 20.000 persone.
Ma allora, se a Cosenza le case ci sono, perché si parla di bisogno casa? Di diritto negato?
A Cosenza la politica abitativa è stata
sempre messa in secondo piano pensando che in questa città non ci fosse
una reale emergenza abitativa che vede decine di famiglie, migranti e
precari combattere ogni giorno con affitti esorbitanti, sfratti
esecutivi e alloggi fatiscenti. Soggetti che hanno dato vita ad un
comitato di lotta creando, di fatto, rete sociale in opposizione alla
crisi e ai giochi di palazzo. Le graduatorie sono ormai ferme da 20
anni, sballando il cosiddetto turn over che dovrebbe sussistere
nell’assegnazione degli alloggi popolari. Per non parlare della
fatiscenza in cui versano i quartieri popolari, nonostante la presenza
dell’istituto ATERP che dovrebbe garantire la manutenzione delle
abitazioni. L’ultimo bando per l’assegnazione di case conta 1800 domande
presentate a dispetto del luogo comune che a Cosenza non esiste alcuna
emergenza.
Da qualche anno assistiamo allo strano
fenomeno degli sfratti “facili” e, al tempo stesso, ad una crescita
delle richieste di alloggi da parte degli studenti universitari che, di
fatto, determina nei proprietari la propensione a sfrattare a favore
degli studenti, che garantiscono maggiori profitti, a discapito di
famiglie, precari, migranti.
Nel corso degli ultimi 30 anni sono
scoppiate diverse emergenze abitative che portarono ad assegnazioni più o
meno stabili. L’emergenza dell’81, con occupazioni di alloggi che
“indirizzarono” il comune all’individuazione di palazzo Fiordalisi da
adibire a casa parcheggio ha prodotto, a distanza di 30 anni, uno
sfratto esecutivo per morosità (del comune nei confronti della
proprietà) e la sistemazione di 15 delle 22 famiglie che lo abitano con
assegnazione di alloggi comunali senza però riaprire bandi e
graduatorie.
Bandi che dovrebbero tenere conto
dell’attuale crisi ridefinendo i parametri per l’assegnazione mentre
invece la legge regionale che regola i criteri di assegnazione risale al
1996.
In tempi più recenti, ottobre 2007,
abbiamo assistito all’occupazione da parte di circa 75 famiglie di
palazzo Bombini, di proprietà del comune e dell’aterp, che portò
l’allora governo Prodi a stanziare 3 milioni di euro per la ripresa
dell’edilizia pubblica e che vennero cancellati dal successivo governo
Berlusconi. Va aggiunto che il palazzo occupato venne assegnato dal
comune all’università assieme ad altri 2 stabili (ex albergo Bologna e
palazzo Caselli-Vaccaro) e che ad oggi sono ancora vuoti.
Sostanzialmente la situazione rimane
invariata, le graduatorie sono ferme e, quand’anche venissero sbloccate,
case da assegnare non ce ne sono mentre le case che fanno parte del
patrimonio comunale, ristrutturate con fondi pubblici e immediatamente
fruibili, vengono assegnate ad altri enti che non li utilizzano o hanno
interessi diversi.
In tutto ciò crescono palazzi che restano
vuoti perché soverchiano il fabbisogno mentre, d’altra parte, si vedono
ancora centinaia di persone per le quali la casa è un lusso che non si
può permettere.
Nonostante i proclami del signor Marchese
(dirigente Aterp) che in una iniziativa preelettorale illustrava il
nuovo piano case/cemento della regione (peraltro bocciato dal governo),
ha dichiarato che negli ultimi 3 anni sono stati assegnati circa 200
alloggi. Ma a chi? E in base a quali graduatorie se le stesse sono ferme
al 1985?
E, da parte di Comune e Aterp, nessuna
volontà di risolvere la questione anzi, si continuano a rilasciare
concessioni edilizie a privati destinando Cosenza a soffocare nel
cemento a discapito del recupero e messa in sicurezza dell’esistente e
di politiche abitative che garantiscano un diritto attualmente negato a
centinaia di cittadini.
Pertanto, il comitato di lotta per la
casa ha intrapreso un percorso basato non soltanto sulla mera denuncia,
ma soprattutto sulla riappropriazione diretta della casa intesa anche
come riappropriazione di reddito. La prima espressione di questo
percorso è l’apertura di uno sportello antisfratto e supporto legale
all’interno del CPOA Rialzo.
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